Lo Studio offre servizi di consulenza legale e di assistenza in giudizio nel ramo penale esclusivamente nelle aree di competenza. Ciò ci permette di assistere il cliente su più fronti e dare univocità di regia alle strategie processuali messe in atto nelle diverse corti.
Particolare attenzione è data alle "vittime di reati", avendo notevole esperienza nelle denunce da presentare agli organi che più appaiono specializzati nei reati oggetto di denuncia. Lo Studio segue poi i propri clienti nelle costituzioni di parte civile e nell'assistenza in genere di tutte le vittime da reato.
Omicidio stradale
La nuova legge è la numero 41 del 23 marzo 2016, è stata pubblicata il 24 marzo sulla Gazzetta Ufficiale numero 70 che ha introdotto nel nostro Codice penale il reato di omicidio stradale, all’articolo 589-bis. Oggi è un reato autonomo, graduato su tre varianti: resta la pena già prevista (da 2 a 7 anni, articolo 589 C.P.) per l’ipotesi base, quando la morte sia stata causata violando il Codice della strada; la seconda variante prevede da 8 a 12 anni di carcere per chi provoca la morte di una persona sotto effetto di droghe o in stato di ebbrezza grave (con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro); la terza fattispecie contempla la reclusione da 5 a 10 anni se l’omicida si trova in stato di ebbrezza più lieve (tasso alcolemico oltre 0,8 grammi per litro) o abbia causato l’incidente dopo condotte pericolose (eccesso di velocità — oltre i 70 km/h in strada urbana e superiore di 50km/h rispetto alla velocità consentita in strada extraurbana — guida contromano, sorpassi, inversioni a rischio, ecc.).
Nei casi di condanna o patteggiamento (anche con condizionale) viene automaticamente revocata la patente, che potrà essere conseguita dopo almeno 5 anni (nell’ipotesi di lesioni) e 15 anni (nell’ipotesi di omicidio). Il termine è aumentato nei casi più gravi: se il conducente è fuggito, infatti, potrà riavere la patente almeno 30 anni dopo la revoca.
Lesioni personali
Il reato di lesioni personali è una delle fattispecie dei delitti che offendono l’integrità fisica o psichica della persona ed è disciplinato dal codice penale all’art. 582, il quale stabilisce che “chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”. La fattispecie incriminatrice è relativa alle lesioni personali “dolose” distinte da quelle colpose cui l’ordinamento penale dedica una disciplina ad hoc, nell’art. 590 c.p. Trattandosi di reato comune, il soggetto attivo, come recita la stessa norma penale, può essere “chiunque” cagioni ad altri una lesione personale. Il soggetto passivo è, invece, la persona cui la lesione è stata cagionata, se dalla stessa deriva una malattia, nel corpo o nella mente, come dispone expressis verbis l’art. 582 c.p., e non già una mera sensazione di dolore, vertendosi in tal caso in materia di delitto di percosse ex art. 581 c.p. (Cass. n. 15420/2008).
a fattispecie di reato, infatti, si articola in quattro tipi a seconda della gravità delle lesioni. L’art. 582 prevede le lesioni c.d. “lievi” e “lievissime”: queste ultime sono espressamente disciplinate dal secondo comma e punite a querela della persona offesa, ove non superiori ai venti giorni. Le lesioni personali dolose “gravi” e “gravissime” rientrano, invece, tra le circostanze aggravanti di cui all’art. 583 c.p. Per le prime, si applica la reclusione da tre a sette anni, quando dalla lesione sia derivata: una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa; un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni, ovvero un indebolimento permanente di un senso o di un organo. La lesione personale è, invece, “gravissima”, quando la malattia è con probabilità o certezza inguaribile; provoca la perdita di un senso, di un arto (o una mutilazione tale da renderlo inservibile), di un organo, della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave incapacità della parola oppure la deformazione o uno sfregio permanente del viso. La reclusione, in tal caso, va da un minimo di sei a un massimo di 12 anni.
Diffamazione
La diffamazione è un reato comune disciplinato nel codice penale all'articolo 595. La norma in esame, rinviando parzialmente al delitto di ingiuria previsto dall'art 594 cp, punisce colui che, comunicando con più persone, offende la reputazione di un individuo non presente. Gli elementi oggettivi necessari per la configurazione del reato sono l'offesa alla reputazione di un soggetto, la conoscenza da parte di una pluralità di persone (minimo due, escluso il soggetto attivo) delle affermazioni offensive e l'assenza della persona offesa (o soggetto passivo). Oggetto di tutela del reato di diffamazione è la reputazione, intesa quale onore in senso oggettivo (in contrapposizione all'onore in senso soggettivo tutelato dal reato di ingiuria), e consistente nella valutazione dei consociati rispetto al valore morale e sociale di un individuo.
Tra le esimenti comuni (le situazioni o i requisiti che escludono la punibilità) che generalmente si applicano alla fattispecie criminosa, troviamo l'esercizio di un proprio diritto (articolo 51 codice penale), in particolare nell’esplicazione del diritto di cronaca o di critica. Ai sensi dell’articolo 68 Costituzione, inoltre, i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. L'articolo 598 codice penale esclude la punibilità del reato di diffamazione qualora le offese siano contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative e ciò a fronte dell'esigenza di garantire la libertà di discussione e di difesa di ciascun individuo. L'articolo 599 codice penale, al comma 2, esclude, invece, la punibilità di chi abbia perpetrato offese nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso. Per l'applicazione di tale esimente è necessario che lo stato d'ira (da intendersi come la situazione emotiva nella quale risulta scemata la capacità dell'agente di resistere all'impulso aggressivo) trovi la sua causa diretta nel fatto ingiusto altrui.
Accesso abusivo a sistema informatico
Il dettato normativo dell’art.615 ter c.p. così recita “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione sino a tre anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni: 1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o abuso della qualità di operatore del sistema; 2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato; 3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti. Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni. Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede a querela della persona offesa.”.